In viaggio verso Treviso, aeroporto di Londra Stansed. Perquisita, come sempre. Ma talmente in anticipo che arrivo per prima al gate, armata del mio imbarco prioritario. Una coppia mi passa davanti, millanta viaggi in Cina e a Dubai e viaggiano Ryanair e senza passaporto. Un uomo, anche lui a parole veterano dei viaggi, prova a passarmi avanti fingendo amicizia con la coppia suddetta, ma lo fulmino con gli occhi.
Tre persone accomunate dal lamento costante, l’ansia pervasiva, la parlantina nervosa. Oggetto del lamento e causa dell’ansia: il momento controlli, ormai superato. Non viaggio tantissimo, ma affronto due tre voli al mese e vengo perquisita 4 volte su 5. Viaggiando spesso, a un certo punto l’ansia deve passare per forza, per abitudine o per sfinimento.
Quando aprono il gate mi trovo sotto la scaletta anteriore con l’uomo di cui sopra, mentre la coppia “amica” deve andare all’entrata posteriore. Il nastro rosso è teso sulla porta dell’aereo e l’addetto in pista ordina di non salire le scale. Fuori fa freddo e c’è vento, ma rispetto l’ordine. La coppia inizia invece a salire le scale posteriori. Vengo rimproverata (rimproverata!) dall’uomo, perché quelli dietro salgono le scale (e restano comunque fuori dal velivolo). È l’occasione della vita: sorrido e rispondo “forse non hanno capito di aspettare giù o forse hanno ignorato l’ordine come hanno ignorato la fila al gate” e sorrido di più.
Dopo alcuni secondi torna il responsabile in pista e fa scendere dalla scala posteriore tutte le persone. Sorrido ancora. Sono cattiva, lo so, ma sono soddisfazioni.